UN MAESTOSO GIOCATTOLO ATTIVAMENTE RIPOSA NEL PARCO

Quest’articolo prende spunto da quanto fu avviato nel tardo pomeriggio di sabato 05 giugno 2021, e cioè il primo breve ciclo di incontri per IMPARARE A GIOCARE CON LE BIGLIE presso la pista delle biglie, in cemento e mattoni,  al parco Teodorico di Ravenna, che è stata da poco ristrutturata per merito di un zelante oneroso impegno dell’associazione ANPI di Ravenna, sezione L. Fuschini.

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Da subito, l’incontro con questa pista da gioco ebbe un forte impatto su di me, nonostante l’avessi già osservata in varie altre occasioni, riempiendomi di meraviglia e rimanendo sospeso con il fiato. Fu come vederla interamente nella sua maestosità, come ad osservare un colosso che riposa sull’erba, monumentale per la sua “gigantosità”. Così completamente vestita di bianco si ergeva e tutt’ora resta come un titano soave che, riposando sdraiato anche offre  spunto ai bambini e alle bambine di trasformalo in un giocattolo fuori misura, e qeusto non sfugge all’attenzione.
La pista, guardata dall’alto, potrebbe ricordare quelle immagini delle linee di Nazca, di cui non si conosce il senso univoco e che a certuni  rievocano piste di altro genere o simboli e messaggi per chi viene dal cosmo. O forse per Qfwfq, protagonista di tutti i racconti del libro di Italo Calvino nel libro “Le Cosmicomiche” (personaggio il cui nome impronunciabile e palindromo,  richiama un essere bizzarro, misterioso, di una perenne presenza nel cosmo … e che gioca con i pianeti come se fossero biglie), diventa un richiamo universale al gioco.

Qualche mese fa, l’infaticabile Riccardo, propulsore e carismatico aderente dell’ANPI locale, mi interpellò affinchè si potesse elaborare delle modalità per ideare una “scuola delle biglie”, affinchè quest’alternativa e saltuaria “istituzione del tempo libero” (una luogo-cosa che si occupa dei bambini/e nel loro tempo libero senza nulla chiedere in cambio, affiancata ad altre istituzioni preposte all’educazione come la famiglia e la scuola, lo sport, la parrocchia …) possa, in qualche modo, “arginare”, distogliere, i frequentatori da quell’insieme di  comportamenti che poco consonano con le originarie intenzioni dei suoi costruttori, quelle per cui il ciclopico sforzo era stato ideato con l’impegno della Compagnia delle biglie nel lontano 2007, appunto giocare con le biglie.
Un’enormità di giocattolo, che è il suo punto di forza, originalità, attrazione, ed altrettanto di debolezza, oppure in una terza via di “multi-funzionalità”.

Negli anni, il solido e robusto tracciato aveva subito l’ingiuria del tempo, comparivano crepe, buchi, croste nell’intonaco, cedimenti strutturali, scoloritura, che l’avevano portata a divenire un quasi rudere.
E l’amministrazione comunale non aveva dato il doveroso supporto di manutenzione al monumento.

Ma nonostante ciò, di fronte alla marcata decadenza dell’opera, il  faber ludico del fanciullo continuava a produrre ingegnosità, ed i bambini/e perduravano a giocare sopra, intorno, tra fra ed in esso, in qualsiasi modo “altro” che non fosse una pista per le biglie, il più delle volte diventando loro stessi “rotolanti, saltellanti e correnti”, nel tracciato.

Dopo un’oretta di osservazione e confronto con  gli altri del team, mentre si era all’opera per rendere efficace il tradizionale momento di trasmissione del gioco con le biglie ad un nugolo di bambini/e di varie età, mi ritrovai a confermare che desiderare che la pista sia usata “solo come pista per le biglie”, una volta che sia stata consegnata ai bambini/e, era una pia illusione, ed imporre questo sarebbe deleterio e non rispettoso dell’altrui modo di essere/stare al mondo.

Agli occhi degli adulti essa è “una pista” e come pista diventa facile approcciarsi, lasciarsi condizionare per risvegliare memorie dell’infanzia in cui si giocava a “tappini” (tappini a corona per la precisione, quelli ad esempio stappati dalle bottiglie di cedrata, chinotto e gasoza) e biglie (di vetro o in terracotta come una volta, in marmo e avorio nella storia antica) in ogni spiazzo piano lasciato libero dalle attività degli adulti, e possibilmente pulito, affinchè gli intralci (come rametti, foglie sassolini) non impediscano il meraviglioso rullare dei colori della pallina, messi in moto da un iniziale “piffetto”.
Ma per i bambini, soprattutto per i più piccoli, questa struttura bianca era, è, sarà un’infinita possibilità di opportunità ludiche nuove; inevitabilmente diventa un maestoso giocattolo pieno di potenzialità per avviare l’attività di esplorazione e sperimentazione.
Mi chiedo, se sia stato proprio l’innato talento ludico che si risveglia senza alcuna preconcetta barriera mentale (“meccanismo” che scatta perché l’evoluzione ha fatto dei cuccioli dell’essere umano dei portatori naturali) la “cosa” che ha messo in crisi la struttura costruita?

Sapendo dell’insieme degli sforzi costruttivi ed ingegneristici che, più di una decade fa, fecero quell’iniziale gruppetto di riscopritori del gioco con le biglie; immaginando delle fatiche burocratiche attraversate per poter piazzare una tale struttura in un parco, e nel trovare le risorse economiche a farlo; ascoltando le nuove fatiche attraversate da Riccardo per fare rete e per trovare le finanze, le energie e competenze umane, allo scopo di ridare vita alla pista per le biglie così propriamente ristrutturata, certo, in empatia, anche mi rattrista e destabilizza vedere che il colosso bianco a fatica riposa sull’erba.
Forse si deve più propriamente parlare che egli sia stato “abbattuto” ed ha ceduto sotto i micro e ripetuti colpi del gioco e del giocare “altro”? Di una causa da attribuire a tutta quella lista – a volte anch’essa originale – di comportamenti che spostano l’attenzione dei più piccoli dal “piffetto ludico” ad una miriade di altre azioni ludiche e non a supporto di queste?

Instancabili e a frotte, questi bipedi in tenera età li vediamo camminare in equilibrio sugli irti bordi della pista e sulla faccia del piatto tracciato; scavalcare, pestare, valicare quest’ostacolo per trasferirsi da un luogo all’altro; oppure fare questo ed altro perchè spinti nella fuga per sfuggire da chi ti rincorre; salire sulle cime della pista e da lì scivolare giù  dall’altra parte; correre e pestare sul tracciato per poi fare un salto dall’altra parte; e poi ancora altri ominidi che si susseguono con le loro mini automobiline e palline e palloni in giochi del “fare finta di” essere altrove di fantasiosi immaginari…
E in questi sforzi per diventare più abili, più grandi, per crescere nel gioco, li si vede anche accompagnati, con al fianco genitori premurosi che, tenendo per mano, tentano di evitare alla prole cadute rovinose sul duro cemento, comunque lisciato ed arrotondato e smussato in ogni suo possibile spigolo a perfezione, ma che bianca soffice panna non è.
E’ mai possibile che questi genitori non abbiamo cura del bene comune?

E invece io dico “Consoliamoci e altrettanto rallegriamoci”, caro Riccardo, “che non si è notato alcun comportamento vandalico”, in cui l’aggressività viene diretta a distruggere piuttosto che a sfidare sè e gli altri nell’agone del gioco.
Molta, forse, “della fame di gioco” che qui si riversa, è più da imputare ad un contesto generale (molto più allargato rispetto a quello che, nel qui e ora, si manifesta e noi ne possiamo vedere solo gli effetti); un contesto socio storico e culturale degli adulti di oggi che poco prende in considerazione il Diritto al gioco in città di bimbe e bimbi, come anche dei ragazzi/e più grandi, come anche delle loro necessità ed esigenze di crescita relative allo sviluppo di competenze verso  l’autonomia, la socializzazione e l’indipendenza di movimento. Temi troppo difficili da affrontare nell’attuale “risk averse society” (link a PDF) , ma che inevitabilmente cozzano con la natura del gioco: libera scelta del cosa e con chi giocare, per quanto tempo, dove e quando, possibilmente nel proprio legittimo tempo libero.
Una volta – e sembra assurdo dirlo – era così anche prima che la la scienza indagasse la natura del gioco, adesso, nella “società moderna”, questa cerca inconsapevole sensibilità verso il gioco sembra dimenticata.

Con forza ritengo che sia giusto preservare la sensibilità e libertà di scelta, il  “non vietare”, ma di offrire arricchimenti culturali ed alternative (come può essere l’impegno ad insegnare/imparare a giocare con le biglie), ed una più profonda comprensione del fenomeno, guardando il problema anche dal punto di vista dei minorenni di età, e rivedendo il ruolo dell’adulto di fronte al grande giocattolo nel parco.

E dunque, e da parte degli adulti appassionati di giochi  con le biglie, che restino e si moltiplichino gli sforzi per portare la gente di tutte le età a giocare con queste sfere di colori e a farlo tra loro, valicando “il limite della famiglia” e del bambino/a “di proprietà della famiglia”, cioè si promuova giocando l’incontro con l’altro che non si conosce e che potrebbe diventare un nuovo amico/a.
E’ proprio qui che ci sono i prodromi per instillare la “cittadinanza planetaria”, essere tutti parte di un unica grande famiglia umana che si preserva nel “restare rispettosamente umani”, al di là delle differenze su cui si può sempre fare ricerca.
Come anche invito a vedere l’altro (colui che che partecipa all’appuntamento con l’esperto/a) come possibile risorsa per insegnare/imparare diverso e meglio con gli altri/e, andando nella direzione del protagonismo, di una partecipazione attiva che vede i partecipanti invitati ad inventare giochi con le biglie, e non solo a imparare i giochi della tradizione, e noi adulti a valorizzare questi sforzi.
In questo si è pienamente e legittimamente in sintonia con le indicazioni fornite dal Commento n.17 all’articolo 31 (ovvero il diritto al gioco ) della Convenzione dei diritti dell’infanzia/adolescenza, proprio al punto 15 A III in cui dopo avere annotato che bambini e ragazzi hanno diritto ad accedere alla cultura e all’arte, di partecipare ad attività espressive, comunicative creative, devono anche poter contribuire alla vita culturale “… contribuendo così allo sviluppo e alla trasformazione della società a cui appartengono”.

Se gli incontri trattano di apprendimento di tecniche e abilità per “tirare con le biglie”, che l’esperienza sia fatta senza l’attesa di una prestazione e non sia necessariamente orientata alla competizione; che sia rinforzata nelle piccole conquiste di ciascuno e di ciascuna e non giudicata negli errori; che sia avviata in contesti di piccolo gruppo e con possibilità di fare risplendere  il vivo “viso a viso” inter-individualmente.
Ed  altrettanto si operi affinchè, ogni anno, la pista riceva la manutenzione dovuta, così che risulti più robusta e più duratura, e che possa confermare nel tempo la sua “colossosità” benefica e volta al gioco, quale quella di un generoso corpo di padre e/o madre che, affettuosamente, si lascia sfidare dalla prole restando sdraiato sull’erba.
Così che la si celebri ad ogni inizio di bella stagione con una festa alla pista dedicata, riconoscendola come soggetto  dispensatore di buonumore che va ringraziato e rispettato.
Credo sia necessario “rinforzare le sponde”, rendendole poco più larghe, perchè queste sono quelle sottoposte a maggiore sforzo nel portare il peso di chi vi ci sale sopra per i tanti svariati motivi.
Necessariamente gli adulti devono assicurare che il grande giocattolo permetta di misurarsi anche con il rischio assicurando che non diventi pericolo; e già molto è stato fatto con una pista che resta di un’altezza in prevalenza sotto al ginocchio e con l’inesistenza di ogni spigolo vivo, e l’estetica delle morbide curve ripaga in bellezza.

Ogni volta che c’è sul posto un incontro programmato, si potrebbero anche affinare le strategie per incrementare il senso di appartenenza all’attività, al gruppo, al luogo ed una sorta di presa in cura dello stesso.
Mentre parlavamo tra chi conduceva l’esperienza, idee sono sorte qua e là, da applicare progressivamente nel tempo. Ad esempio, e ad inizio attività, si potrebbe tutti assieme dare una “lucidatina” alla pista, con uno scopino per togliere sassolini e sabbie, concorrendo così ad assimilare le prime informazioni di base sull’efficacia del tiro della biglia, che dipende anche dal suolo pulito e senza attriti aggiunti alla superficie.
Utile avere a disposizione un set di diverse biglie di legno e di vetro piccole e grandi per allenare progressivamente le abilità per il tiro della biglia, e anche regalare biglie di vetro piccole a fine sessione.
Predisporre una dispensa/quaderno che raccoglie giochi con le biglie, e che sia distribuita gratuitamente ai presenti.
Generare una cornice di senso fatta di rituali e ricorrenze, elementi che si fanno ricordare e che vengono  regalati ai partecipanti, come le magliette per chi conduce l’attività, dei cappellini per ripararsi dal sole, spillette con un logo dell’attività.
Molto utile la collezione di biglie in vetrina, dalla più alla meno preziosa ed antica, da mostrare ed illustrare con i nomi delle diverse biglie, magari apposte in bacheche di legno che accostano la pista. E poi delle foto di persone che giocano in vari modi con le biglie.

In aggiunta, altra direzione dell’impegno futuro potrebbe essere anche quello di costruire altri luoghi di gioco per le biglie e non solo: magari costruire altre piccole simpatiche struttura che richiamano alla “piazzetta piana”, alla pista in terra battuta, al muro, alle mattonelle, potendo esercitare giochi quali: vedi links giocare con le righe;  buche e mucchio; muro; a contenitori in caduta libera; “bersaglio” a cerchi concentrici…

Penso sia utile che oggi esista un luogo in cui si concentra un sapere ludico; quello stesso che prima era dominio di tutti/e, solo per il fatto che da bambini si era più liberi di frequentare spazi all’aperto. Era una cultura ludica  che veniva passata da persona a persona perchè c’era la voglia e le occasioni libere di  giocare; e questo era sufficiente per farla sopravvivere con il tramando. Anche oggi esiste la voglia di giocare a biglie, e l’esperienza lo dimostra, ma mancano i contesti per la trasmissione libera spontanea diretta di queste pratiche di benessere. Una volta che si apprende qualcosa qui affianco al “monumento ludico al gioco”, potrebbe essere più facile che lo stesso gioco diventi trasferibile in altri luoghi per il fatto e per opera dell’autonomo tramando, che le persone se lo ricordano e se lo passino tra di loro per il piacere del fare.

Forse, nel tempo, con l’aggiunta di nuove e piccole idee, questo luogo di gioco diventerà anche di attrazione per un turismo famigliare “slow ludico”, che bene si associa alle tante altre attrazioni artistico storico culturali e  naturalistiche, con già forte vocazione ciclo turistica, della “città del mosaico” e non solo.
In questo resta pressoché scoperto l’aspetto promozionale, magari in più lingue, del luogo da parte dello stesso Comune di Ravenna, via Assessorato alla cultura e turismo, con adeguati mezzi e strumenti, che potrebbero essi stessi diventare oggetto di un progetto con i ragazzi/e che, una volta sensibilizzati al gioco delle biglie con e senza la pista in cemento, elaborano modalità per promuoverlo con la loro piena soddisfazione e piacere.

Giugno 2021
di Renzo Laporta
Ciao @genialidapiccoli.com

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