LIBERARE IL GIOCO DALLA PUBBLICITA’
il commercio è libero di condizionare in tutti i temi della vita o, come per l’infanzia ed il gioco si può chiamare una moratoria?
Per i detenuti statunitensi il momento “d’aria” quotidiano dura circa due ore di attività, e questo è un diritto che garantisce un certo benessere psico-fisico indiscutibile. Eppure, secondo un recente studio, tra le varie attività praticate, non è altrettanto così per i bambini/e di oggigiorno, anzi, il tempo speso all’aperto è molto inferiore.
Treehugger.com ha messo online i risultati di una ricerca che aveva come obiettivo di valutare quanto tempo bambini e ragazzi sotto i 12 anni, passino all’aria aperta, prendendo in considerazione 12000 famiglie con bambini di 10 paesi del mondo.
Sapete qual è stato il risultato? ebbene, rispetto alla media delle due ore d’aria per i detenuti statunitensi, si è scoperto che ogni bambino ne passa all’aperto – quotidianamente – meno di trenta minuti.
Credo che non vi sia persona meglio di un carcerato che possa valutare l’importanza di muoversi e conversare sotto al cielo. Nell’esperimento, una troup televisiva è andata ad intervistare dei detenuti per sottoporgli una semplice domanda e raccogliere le loro risposte.
“Cosa penseresti se ti dicessimo che le tue due ore d’aria potrebbe essere ridotte ad una sola?”
Vi invito a prendere visione del breve – e di grande impatto emotivo – video su youtube dal titolo “Free the Kids” (è in inglese/americano, ma con le immagini associate, si comprende bene). Il video è parte integrante del progetto dal titolo “Dirt is good” (un modo di dire che potremmo tradurre in “sporcarsi fa bene”), la cui promotrice è una nota azienda anglosassone che – al contrario – vende prodotti per la pulizia e l’igiene personale e degli ambienti (strano noo?!).
E dunque il video promuove di “liberare il gioco all’aperto”, anche se con esso ci si può sporcare, e come testimonials si sono scelti proprio chi, la libertà, è stata tolta.
La cosa richiama alla mente ciò che considero ben più originario, quale il Manifesto dei diritti naturali di bimbe e bimbi di Gianfranco Zavalloni. Originario nel senso che il messaggio va direttamente al cuore del problema, con la semplicità di un linguaggio che è comprensibile e trasparente a tutti, ricordando agli adulti la memoria della loro infanzia, di ciò che invece – in prevalenza – viene impedito alle generazioni in erba di oggi. Nel Manifesto, il Diritto allo sporco occupa la seconda posizione.
In un altro video – ben più divertente – si esprime in modo più diretto il concetto/valore per i bambini/e “Dirt is good”, e anche si palesa in maniera più esplicita a cosa punta realmente la pubblicità del prodotto. Questa volta i protagonisti sono un gruppo di bambini e bambine convenuti ad un party, che (si presume) dopo avere collaborato a costruire un robot semovente, partecipano ad una sfida: realizzare la “moderna composizione” di una pizza, attraverso il giocattolo appena costruito. Nel confronto tra ieri e oggi, se “prima” si usavano le mani per impastare e poi guarnire la base da infornare, adesso si usa la tecnologia ed il prodotto pre-confezionato. Nel gruppetto e a turno, si padroneggia un robot semovente ricorrendo ad un radiocomando a distanza, ordinando al robot di entrare in scena e poi di guarnire la base di pizza con il sugo di pomodoro. Da subito la cosa è avvincente per tutti, ma da lì a pochi secondi, l’eccitazione per la novità si rivela in tutta la sua sorpresa … vedi il breve video “The next generation”.
In sostanza, il messaggio si può ridurre in “ti puoi divertire con gli altri e giocare con la tecnologia ed il cibo, nonchè sporcarti, perché tanto c’è il prodotto XY che rimuove tutte le macchie di sporco”.
Quali percorsi intricati riesce ad ideare la pubblicità allo scopo di lasciarti impresso il logo ed il marchio di una serie di prodotti, fino a promuovere il contrario di quello che si è.
Procedendo nel discorso, di questa lunga serie di video pro- dirty is good c’è un altro spot ad alto d’impatto, che è stato fatto con il medesimo accostamento tra liberare la fanciullezza e invitare a comperare il prodotto. Inizialmente c’è un robottino come protagonista, triste e solo che, titubante e a piccoli passi, esce da una stanza piena di giochi verso il giardino. Gradualmente egli riscopre la natura che lo circonda, fino ad arrivare ad una … “Every child has the right to be a child VIDEO” … che letteralmente completa la sua trasformazione. Ancora una volta, l’eccitata espressione di gioia che deriva dal confondersi nella materia, e di conseguenza sporcarsi, permette al bambino che era intrappolato in un giocattolo di latta, di tornare ad essere se stesso. Infine arriva il messaggio rassicurante ed essenziale della marca del prodotto XY.
Il “Diritto a sporcarsi, a giocare con la sabbia, la terra, l’erba , le foglie, la terra, l’acqua, i sassi, i rametti” del maestro Gianfranco Zavalloni rivela pienamente quanto l’autore sia stato in empatico contatto con la fanciullezza, dapprima la sua, e poi anche quella che ha educato in tanti anni attraversati da docente della scuola dell’infanzia e anche da dirigente, nonché referente scout. Attento e sensibile al linguaggio e alla natura di bimbe e bimbi, soprattutto quando essa veniva liberata con proposte di attività in cui l’adulto assume il ruolo di osservatore del gioco libero. Questo tanto nel giardino scolastico come altrove, perché il valore del Manifesto è di risultare di carattere universale, listando esperienze in forma di Diritti perché appartenenti a tutti i bambini e bambine del mondo, al di là del tempo e della geografia, spontaneamente attivate, autonomamente condotte.
Un vero maestro che sa attendere e farsi da parte, oppure che propone la situazione di ricerca e non il risultato per il gruppo nel bosco, sulla spiaggia, al ruscello … sapendo che il gioco libero è di per se stesso molto più che “educativo”, perchè promotore del gioco stesso, aperto ad infinite possibilità di apprendimento non cercate, e ancora di più di gioia – risorsa da mettere in banca per i momenti difficili.
C’è una bella differenza dal messaggio pubblicitario ripetuto nei video che considero appiattenti e che, seppur fare piacere perché aprono a valori fondamentali anche sono fuorvianti, mascherando la realtà, le reali intenzioni; di contro abbiamo il messaggio universale ed originario insito nel Manifesto, che con semplicità riporta all’essenza, senza tanti orpelli di regia occulta.
Concludo con l’ultimo video che rivela definitivamente la vera natura del prodotto, frutto di uno sbagliato paradigma di pensiero che si è andato affermando nel nostro tempo con le azioni e la pubblicità green washing, e la sua efficacia propagandistica la possiamo cogliere nei messaggi di feedback ai video.
Ora il protagonista sulla scena è il fondatore di The 2 Minute Foundation, Martin Dorey; nel video egli si scaglia contro l’Azienda di XY, facendo il verso ad un altro video spot dello stesso verso (Tough on stains kinder to our planets ). Martin demolisce il fatto che se XY si dichiara potente ma non abbastanza per “pulire gli oceani, o per piantare alberi” è invece efficace nell’inquinare con i suoi solventi (nonché il contenitore che risulta insostenibile per il suo 50%). Nel suo discorso egli chiede a tutti di responsabilizzarsi versa il problema con piccole azioni, mettendo a disposizione di ciascuno e ciascuna dei “kit di raccolta” (che si prendono dalla “Beach cleaning station”), affinchè si possa dedicare 2 minuti del proprio tempo a ripulire la spiaggia dai rifiuti portati dal mare e gettati/abbandonati dalla gente.
L’idea la si potrebbe importare anche in Italia, in fondo in fondo, ci si può appassionare anche a questo, perchè è come abbandonarsi ad un gioco di caccia, ricerca e raccolta, anch’esso antico come il mondo.
Dello stesso verso sono:
Omo commercial
Dirty is god – Omo
Omo dirt is good ad beach
if you are ginger, dont’ watch
wildlife change makers
Di Renzo Laporta – fine gennaio 2022