Gioco e resilienza

un modo con cui l’attuale emergenza sanitaria condiziona il gioco dei bambini

Il gioco è il linguaggio preferito dai bambini e i genitori non dovrebbero preoccuparsi se questo assume anche “la forma” dell’influenza pandemica, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria.
Osservazioni di studiosi americani hanno fatto emergere come la resilienza dei bambini viene rinforzata dal gioco che, inconsapevolmente, mettono in scena quanto li circonda e attraverso questo trovano possibilità di comprensione, trovando forme di sollievo a situazioni che mettono paurosamente alla prova.

Forse sarà capitato anche a qualcuno di voi osservare la prole “giocare al dottore” e verso un fratellino più piccolo o una bambola emulare quanto visto in televisione, “facendo fina di”, trasformando qualsiasi altro oggetto in termometro per misurare la temperatura, mettere la mascherina, vestire con un lungo velo, e verso una bambola ascoltare il respiro, sentire il cuore e poi dire in tono solenne: “Lei signora ha il Coronavirus, dobbiamo portarla all’ospedale”.

Proprio nel mezzo di un disastro umanitario – come questa situazione di pandemia globale – molti genitori in giro per il mondo avranno assistito a simile situazione, ma per le nuove generazioni questa è solo una situazione ludica. Ricordiamoci che non solo gli adulti si sono trovati stravolti la propria condizione di vita da un giorno all’altro, anche i bambini/e hanno dovuto cambiare rapidamente abitudini e rituali, generi di attività e modalità di usare il tempo e come comunicare con l’al di là della sfera famigliare.

Il capovolgimento che accade nella vita dei bambini facilmente gli resta dentro, gira nelle loro menti e se non trova una forma in parole, la trova in altre modalità al fine di emergere ed essere esternato. E molti dei bambini che assorbono paure e notizie confusive le trasformano in gioco, questo gli permette di trovare sollievo a ciò che non si capisce.

Questo è stato osservato più volte per altri generi di fatti sovraumani come il tornado Katrina, in cui bambini ospedalizzati giocavano con i loro oggetti-giocattoli facendoli roteare sopra di loro, riproducendo con la voce la confusione che portava il vento, scaraventando tutto a terra, riproducendo a terra la distruzione che aveva lasciato dietro di se il tornado.

Il gioco è un linguaggio della prima infanzia che può avere anche la funzione di riprodurre quanto è stato vissuto come stressante e non compreso appieno, esprimere preoccupazioni, sollevare domande inespresse in altro modo, e naturalmente cambiare storie note ed abituali che prima venivano raccontate diversamente. Il protagonismo che i bambini hanno nello scenario del gioco del “fare finta di” permetto loro anche di trovare possibili soluzioni, per lo meno per la loro esistenza interiore.

<<E se il gioco di mio figlio non manifesta alcun segno “contagio “ da Covid19?>>

Forse potrebbe essere il caso di “testare” qualcosa per comprenderne la reale portata di questo “silenzio”.
Magari proponendo qualcuno di questi giochi per rilevare le reazioni e poterne – in secondo momento – parlare assieme.
Altre osservazioni di adulti rivolte ai giochi attuali dei bambini hanno rivelato che ad esempio il classico gioco del “rincorrersi” per acchiappare l’altro è stato cambiato in una delle sue componenti, anzichè toccare l’altro per passargli il ruolo (di colui che andrà ad acchiappare, rincorrere per prendere gli altri) si doveva pestare o toccare con le dita l’ombra dell’altro giocatore. in questo modo si rispettava la “social distance”.

Un’altra osservazione riferisce di bambini che sono stati visti giocare con una palla di plastica, la cui superficie ricorda vagamente quella tipica delle immagini che richiamano il virus Covid 19, e tra le regole per “restare in vita” si doveva schivare il lancio di questa “Corona-Palla” da parte di un giocatore, in una distribuzione di ruoli di gioco in cui “uno è  contro tutti”.

In generale i genitori non si devono preoccupare se il gioco incorpora elementi della situazione che si sta vivendo inerente al Covid 19; anzi questo dovrebbe stimolare gli adulti ad osservare e poi interrogarsi per comprendere il senso, aiutando i bambini a fare altrettanto, oppure divertirsi assieme giocando a sua volta. A volte è anche vero che giocare un gioco che racconta qualcosa che è importante sapere, è meglio di sapere spiegare e descrivere bene quella cosa. O magari inventando altri giochi. Ricordatevi che saranno sempre i bambini a rassicuravi ricordandovi che “tanto è solo un gioco”.

Diversa la situazione quando uno o più giocatori mostrano di risultare realmente afflitti da quanto accade nel gioco, come quando qualcuno fa finta di morire nella parte che assume nel gioco. Oppure quando la scena di gioco si ripete più volte e mai cambia il risultato finale, o anche se – esaurito il gioco – resta ancora molta ansia e stato di paura.

E’ salutare che i bambini “si prendano gioco” della situazione reale che li circonda, ed è di supporto agli adulti poter assistere agli stati emozionali che la scena ludica permette di rivelare. Osservare il gioco permette di cogliere indizi sul grado di conoscenza che è in possesso dei giocatori, e di quanto essi stanno credendo.

Un ultima annotazione, la situazione di emergenza sanitaria porta con sè molteplici generi di drammi, non circoscrivibili alla malattia e all’ospedale, ma possono essere inerenti la perdita del lavoro dei genitori, e forse a conseguenza di ciò anche dell’impossibilità di pagare con regolarità l’affitto della casa di residenza. Oppure il non vedere per lunghi periodo di tempo degli amici o parenti e questo porta l’ansia di sapere se essi sono o non sono ancora intorno a noi.

Purtroppo, i bambini sono stati esposti dagli adulti alle più tragiche situazioni della storia, e tutt’oggi in giro per il mondo perdurano situazioni indicibili. Una di queste fu l’Olocausto, e il tema del gioco e della resilienza conobbe in questa situazione estrema la sua pagina più scura, nonostante tutto il gioco esisteva e resisteva anche nei campi di sterminio ed ha permesso ai bambini e alle bambine di portare pesi emotivi e psicologici che sarebbero insopportabili anche per gli adulti.

Esiste un libro che racconta di questo, una testimonianza che ha alimentato la pedagogia della Shoah: “Children and play in the holocaust – games among the shadows”. Non è una lettura facile, ma restituisce ancora una volta il senso profondo del giocare.

Renzo Laporta – 15 Aprile 2020 – [email protected]