Mostra di giocattoli afro-americani a Parigi

Deborah Neff colleziona da oltre vent’anni le Black Dolls, le bambole nere che appartengono alla comunità afro-americana, e di cui espone per la prima volta in Europa, portando un’ampia selezione di oltre cinquecento pezzi nella galleria La Maison Rouge di Parigi, fino al 20 maggio.

Sono bambole bambine, bambole madri, bambole nonne, vestite con la tela di sacco e/o con pizzo recuperato ed altri accessori, con volti ricavati spesso da ritagli di cuoio, altri materiali di scarto – una tazza da tè rotta per sostenere il collo, bottoni al posto degli occhi, comunque in tutte la caratteristica costante dell’asimmetria; ed in questo ritroviamo l’arte moderna occidentale, che ha guardato a quella africana dall’inizio del Novecento, con tutti e tutte i/le nuovi/e artisti/e che andavano alla ricerca di un nuovo ordine.

Queste Black Dolls raccontano di un secolo di storia afroamericana (dal 1840 al 1940) e sono state generate tutte a mano in un paese che nel secolo precedente (dal 1790 al 1860) ha deportato dall’Africa più di un milione di uomini e donne come schiavi e schiave.

Alla fine della Guerra Civile (nel 1865), la stragrande maggioranza degli afroamericani era privo di ogni diritto, come non potersi sposare ed allevare figli/e.

Intervistata da Laura Leonelli (della Repubblica) l’autrice rivela:

«Può sorprendere, ma le bambole nere non sono state create solo per le bambine afroamericane da quelle madri lontane, balie o cameriere al servizio delle famiglie bianche. Al contrario nella mia collezione ho moltissime fotografie di bambine bianche che stringono tra le braccia la loro amata Black Doll.

Perché? Perché un bambino vuole sentirsi protetto, vuole il contatto fisico, il latte che diventa carezza, e le madri di allora, candide quanto distanti, non toccavano i figli, non li allattavano, preferendo affidarli in quella fase della vita di puro istinto alle cure delle nunnies afroamericane»

Ma c’è anche l’altra storia nella storia, perchè quando una bambina afroamericana di inizio ‘900 sceglieva un giocattolo preferito con cui farsi fotografare assieme ai genitori, lei optava per una bambola bianca, a testimonianza di come forti erano ancora i pregiudizi razziali, assieme alla voglia di aspirare (mediante quel giocattolo) da un futuro socialmente migliore.

Ancor dalle parole di Deff si rievoca che:

« Quando sono andata all’università la mia compagna di stanza era afroamericana, cosa che ha fatto della nostra camera l’unica multirazziale dell’interno campus.

Il motivo l’ho scoperto dopo. Eravamo state le sole due studentesse ad aver scritto nel questionario scolastico di non avere problemi a dividere la camera con qualcuno di un’altra “razza”.

Era questa l’America degli anni ’70»

Scansione all’articolo apparso sul Sole 24 Ore il 15 aprile 2018